La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 94/2025, cancella il divieto previsto dalla riforma Dini. Chi ha i requisiti potrà chiedere il ricalcolo dell’assegno
Una sentenza storica quella della Corte Costituzionale, la n. 94/2025 dello scorso 3 luglio, che riapre la porta all’integrazione al minimo per gli assegni ordinari di invalidità, anche quando questi sono calcolati interamente con il sistema contributivo. La decisione, attesa con grande interesse, accoglie le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, e dichiara l’illegittimità costituzionale della norma che escludeva tale possibilità, ovvero il comma 16 dell’art. 1 della L. 335 del 1995 secondo cui “alle pensioni liquidate esclusivamente con il sistema contributivo non si applicano le disposizioni sull’integrazione al minimo”.
Il fulcro della questione riguardava l’articolo 1, comma 16, della legge 335 del 1995 (la riforma Dini), che prevedeva l’esclusione dell’integrazione al minimo per le pensioni liquidate esclusivamente con il sistema contributivo. La Corte di Cassazione aveva sollevato dubbi sulla compatibilità di questa norma con gli articoli 3 (uguaglianza) e 38, secondo comma (diritto a mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso di invalidità), della Costituzione, in particolare per quanto concerneva gli assegni ordinari di invalidità.
Il caso specifico che ha portato alla pronuncia riguardava il ricorso dell’INPS contro una sentenza della Corte d’Appello di Firenze, che aveva riconosciuto a un cittadino, A. S., il diritto all’integrazione al minimo del suo assegno ordinario di invalidità, nonostante fosse stato calcolato interamente con il sistema contributivo.
L’INPS e il Presidente del Consiglio dei Ministri, intervenuto nel giudizio, avevano sostenuto che l’integrazione al minimo fosse un istituto incompatibile con la logica del sistema contributivo, che lega l’importo della pensione direttamente ai contributi versati, e che eventuali tutele aggiuntive dovessero provenire da strumenti di natura assistenziale.
Per cui, la possibilità per A. S. di fruire dell’integrazione al minimo doveva essere preclusa proprio dalla circostanza che nel caso specifico l’assegno ordinario di invalidità venisse calcolato esclusivamente con il sistema contributivo.
La Corte Costituzionale, tuttavia, ha rigettato questa argomentazione, sottolineando la “peculiarità” e la “natura parzialmente assistenziale” (dunque, mista a quella previdenziale) dell’assegno ordinario di invalidità.
I giudici costituzionali hanno evidenziato come, fin dall’origine, questo assegno abbia goduto di un regime agevolato con soli cinque anni di contribuzione richiesti e l’accertamento di una sorta di “contiguità assicurativa” rispetto all’evento protetto (tre anni di contribuzione nel quinquennio anteriore alla presentazione della domanda), e come la stessa legge di riforma del 1995 avesse già previsto un “favore” per i percettori applicando, per il calcolo dell’assegno, il coefficiente di trasformazione relativo all’età di 57 anni nel caso in cui l’età dell’assicurato, all’atto dell’attribuzione dell’assegno, fosse inferiore. Infatti, l’art. 1, comma 14, della legge n. 335 del 1995, prevede che l’assegno ordinario d’invalidità, ove calcolato con il sistema contributivo, è determinato “assumendo il coefficiente di trasformazione relativo all’età di 57 anni nel caso in cui l’età dell’assicurato all’atto dell’attribuzione dell’assegno sia ad essa inferiore”.
In sostanza, si equipara ex lege l’età del percettore dell’assegno a quella che, all’epoca, costituiva la soglia anagrafica da raggiungere per conseguire la pensione di vecchiaia interamente liquidata con il sistema contributivo, secondo quanto prevedevano i commi 19 e 20 del citato art. 1.
Questa decisione, secondo la Corte, dimostra una chiara intenzione del legislatore di mantenere un regime differenziato per l’invalidità, riconoscendo un maggiore valore al principio di solidarietà in presenza di uno stato di bisogno così particolare. L’esclusione dell’integrazione al minimo, senza misure compensative adeguate, avrebbe creato una disparità irragionevole rispetto ad altre prestazioni pensionistiche.
La sentenza apre ora la strada a un possibile ricalcolo degli assegni ordinari di invalidità per coloro che, pur avendo i requisiti contributivi e reddituali, si erano visti negare l’integrazione al minimo a causa del calcolo interamente contributivo della loro prestazione.