Criteri giuridici per riconoscere e indennizzare l’infarto da stress lavorativo
L’art. 2 e l’art. 210 del D.P.R. n. 1124 del 1965 prevedono la copertura assicurativa obbligatoria in caso di infortuni sul lavoro per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’inabilità temporanea assoluta che importi l’astensione dal lavoro per più di tre giorni.
L’infortunio sul lavoro, per essere considerato tale e, quindi, indennizzabile, necessita della presenza di alcuni elementi essenziali che lo contraddistinguono e cioè la causa violenta, l’occasione di lavoro e l’assenza di rischio elettivo.
In quest’ottica anche l’infarto provocato dallo stress lavorativo può diventare indennizzabile.
La causa violenta
La causa violenta è qualsiasi azione tale da produrre lesioni all’organismo umano e che provenga dal mondo esterno, che sia in grado di determinare la morte o l’inabilità assoluta o parziale, e agisca durante il turno di lavoro.
Essa può riscontrarsi anche in relazione allo sforzo messo in atto nel compiere un normale atto lavorativo, purché lo sforzo si riveli diretto a vincere una resistenza peculiare al lavoro svolto e che, quindi, non sia riconducibile a un normale affaticamento.
In questo contesto, di particolare interesse, specie per la frequenza con la quale accade, è l’infarto in quanto evento inquadrabile nella causa violenta.
Giurisprudenza costante riconosce che l’infarto configura infortunio sul lavoro quando è eziologicamente collegato ad un fattore lavorativo e che il ruolo causale dell’attività lavorativa non è escluso da una preesistente condizione patologica del lavoratore la quale, anzi, può rilevare in senso contrario, in quanto può rendere più gravose e rischiose attività solitamente non pericolose.
È stato addirittura affermato dalla Cassazione, con le sentenze n. 8019 del 2023 e n. 684 del 2014, che l’infarto causato dallo stress psicologico subìto dal lavoratore in occasione della prestazione lavorativa, possa essere ricondotto all’infortunio sul lavoro.
Nella specie la Suprema Corte, trattandosi di un infarto che ha colpito il lavoratore durante il percorso che collegava l’abitazione col luogo di lavoro, lo ha classificato come infortunio in itinere considerando il rischio del lavoratore integrato, in concreto, dallo stato di stress psicologico provocato dalla cancellazione del volo e dalle conseguenti riduzioni delle pause di riposo fisiologiche che ne sono susseguite.
L’occasione di lavoro
Affinché l’infortunio sul lavoro sia indennizzabile è necessario dimostrare il nesso causale tra il lavoro e il verificarsi del rischio.
La giurisprudenza ha interpretato in senso estensivo l’espressione “occasione di lavoro” non limitandola al solo concetto di causalità.
Secondo una definizione data dalla Cassazione con sentenza n. 7288 del 2024 essa “comprende tutte le condizioni temporali, topografiche e ambientali in cui l’attività produttiva si svolge e nelle quali è imminente il rischio di danno per il lavoratore”.
Per cui, l’evento verificatosi “in occasione di lavoro” amplia i limiti concettuali della “causa di lavoro”, ricomprendendo ogni fatto comunque ricollegabile al rischio specifico connesso all’attività lavorativa. Può fare, quindi, riferimento anche agli infortuni afferenti ai normali rischi della vita quotidiana privata ma sempre e in ogni caso ascrivibili in concreto alla situazione lavorativa.
Con questa più generica espressione il legislatore ha inteso ricomprendere nell’ambito della tutela assicurativa tutti quegli eventi dannosi subiti dal lavoratore sul luogo di lavoro e durante l’espletamento della prestazione che non sono riconducibili al rischio intrinseco connesso all’attività lavorativa svolta e che, invece, sarebbero stati esclusi dalla tutela più restrittiva basata sul concetto di infortuni per “causa di lavoro”.
Il rischio elettivo
Infine, è necessario che nell’azione del lavoratore che ha causato l’evento dannoso non si configuri il rischio elettivo, ravvisabile nel comportamento abnorme, volontario ed arbitrario del lavoratore, tale da condurlo ad affrontare rischi diversi da quelli inerenti alla normale attività lavorativa e tale da determinare un’interruzione del nesso causale tra lavoro, rischio ed evento.
Il rischio elettivo si distingue dal comportamento colpevole del lavoratore e cioè dall’atto volontario posto in essere con negligenza, imprudenza o imperizia ma motivato da finalità produttive che, pertanto, non vale ad interrompere il nesso tra l’infortunio e l’attività lavorativa e, quindi, non esclude la sua indennizzabilità.
Infatti, il datore di lavoro ha il dovere, imposto dall’art. 2087 C.C., di prevenire anche la imprudenze dei suoi dipendenti istruendoli, controllandone l’operato e dotandoli di strumenti e mezzi idonei e sicuri.
Secondo la recente sentenza della Cassazione n. 36885 del 2022, infatti, “l’omissione di cautele da parte di lavoratori non è idonea ad escludere il nesso causale rispetto alla condotta colposa del committente che non abbia provveduto all’adozione di tutte le misure di prevenzione rese necessarie dalle condizioni concrete di svolgimento del lavoro, non essendo né imprevedibile né anomala una dimenticanza dei lavoratori nell’adozione di tutte le cautele necessarie”.